Il pranzo ispirato.
Tutte queste emozioni raccontate nella prima parte, ci hanno messo appetito.
Ma dove mangiamo che qui non c’è una trattoria? C’è Girolamo che sta impastando qualcosa. Sembra pane ma non lo è. Sono le guastedde, il pane dei poveri che veniva fritto in padella e condito con sale e spezie. Girolamo e Carmelo sono i pochi rimasti a parlare ancora Greco di Calabria, o grecanico, e non sono riusciti a trasmetterlo ai loro figli, che però parlano inglese. Il dramma di questa lingua è principalmente questo: si è fermata agli anni cinquanta.
C’è però qualcuno che è riuscito a portare avanti questo patrimonio inestimabile e a trasmetterlo alle nuove generazioni. Si tratta del Dottor Tito Squillaci, padre di Olimpia, Delia e Domenica cui ha scelto di parlare sin dalla nascita solo greco di Calabria. Il giorno in cui abbiamo incontrato per la prima volta Olimpia, ci ha travolti con il suo entusiamo e un amore incondizionato verso il padre. E tra poco ci raggiungerà anche lei qui a Pentedattilo, per parlare del greco di Calabria e della sua idea di rivitalizzazione della lingua.
Entriamo in un catoio, una volta utilizzato per il ricovero degli animali, e ci sediamo attorno una tavola imbandita di salumi, formaggi, melanzane sott’olio, ‘nduja spalmabile e naturalmente guastedde. In cucina ci sono anche Giusy e Ines che compongono i piatti, silenziose e gentili.
Convinco Dafne ad assaggiare un po’ di ‘nduja e provo a raccontare come viene preparata. Perché l’ospitalità parte dal cibo, ed è lì che si nasconde gran parte delle nostre tradizioni. E assieme al cibo c’è la musica, che nella provincia di Reggio Calabria si traduce in “viddanedda”, “tarantella”, “ciaramedda” e nella musica etnica in generale.
Musica ispirata
E tra un tocco di provola silana, uno, due, tre bicchieri di vino rigorosamente locale, ci troviamo in piedi a tenere il ritmo della zampogna. A darci qualche spiegazione storica è Mimmo Bruno, che ci racconta come in ogni paese si mangia differente, si beve differente e si suona differente.
La temperatura sale e veniamo spinti naturalmente verso l’esterno. Dalla zampogna si passa all’organetto ed è un attimo che ci troviamo a ballare la tarantella, seppure maldestramente. Ma non importa a nessuno, perché l’atmosfera è conviviale.
Ad aprire le danze sono Francesca e Francesco, che mostrano ai nostri viaggiatori come muoversi. La prima a lanciarsi e Roberta, la segue Francesco. Dafne, invece, ha la febbre e non è il caso.
Tra centinaia di saltelli, innumerevoli risate spontanee, bicchieri sempre pieni e un numero indefinito di foto, si sono fatte le 15. I nostri viaggiatori che stanno esplorando la Calabria da giorni, mostrano i primi segni di stanchezza. Li invitiamo ad andare a riposare e attendiamo il loro risveglio al borgo facendo un rito che credo non vedevo fare sin da bambina. Il lavaggio dei piatti alla fontana, con le tinozze di acqua calda per sgrassare e quelle di acqua fredda per sciacquare. In questa catena di montaggio perfetta c’è spazio per chiacchiere e pensieri sparsi. E in questo rito antico ci vedo tutto quello che c’è di buono in questa terra.
Cerchiamo di parlare sottovoce con il timore di svegliare i nostri viaggiatori, ma ciò non accade. Sono caduti tutti in un sonno profondo. Alle 16 Roberta ci invita in quella che ormai considera la sua casetta e ci prepara un caffè con la moca.
Viaggio nella Calabria Greca
Ci trasferiamo tutti nella libreria della donne. Sta per arrivare Olimpia ed io sono molto emozionata. Madrelingua greco di Calabria, si occupa da anni della rivitalizzazione della lingua. Grazie a lei scopro che la l’uso della nostra forma dialettale “t’imparu” (t’imparo) al posto di “t’insegno”, non è assolutamente errata perché viene del greco “matthenno” che vuol dire contemporaneamente “insegnare” e imparare”. Oppure che esistono 21 aggettivi per descrivere una capra. Questo è dovuto al fatto che quando si parlava greco di Calabria vi era una cultura prettamente pastorale. Questo è anche uno dei motivi per cui i calabresi hanno iniziato ad abbandonarlo: per vergogna e perché veniva definita la lingua dei pastori.

Olimpia Squillaci racconta il Greco di Calabria
Scopro poi che imparare il greco di Calabria non è così complicato, perché ha sole 5.000 parole.
Nessuno però nessuno lo vuole parlare perché lo ritiene inutile. Ed io invece trovo che imparare il greco di Calabria sia il modo più nobile per comprendere le nostre origini.
“Perché capire il greco non è questione di talento, ma di militanza- come la vita.”
Olimpia mi colpisce perché sa bene di essere stata fortunata. Non capita a tutti che un padre ti prenda tra le braccia appena nata e ti parli in una lingua tutta vostra. Una lingua che non parla più nessuno. Un grande gesto d’amore e Olimpia capisce ben presto che per ricambiare può solo portare avanti questa tradizione, altrimenti destinata a scomparire. Il suo obiettivo è fuggire dalla sua folclorizzazione e andare a riscoprire e valorizzare i nostri luoghi in un modo che possa poi portare ad un vitalità linguistica e culturale.
Fuori ha smesso di piovere, faccio in tempo a godermi uno spicchio di tramonto prima di rimetterci nuovamente a tavola.
Al borgo adesso ci siamo solo noi e i viaggiatori di Calabria Ispirata. Sono andati via i ragazzi delle botteghe, è andato via Girolamo e anche Ines. Claude ha smesso di suonare le campane e attorno a noi regna il silenzio. Eppure questo luogo non riesce in alcun modo a mettermi timore, tanto è ormai familiare. Neanche ascoltare la strage degli Alberti, le storie dei fantasmi che popolano il borgo mi mette ansia. Anzi, mi sento protetta in un modo che non sono in grado di spiegare.
Dopo aver gustato i maccheroni cucinati da Francesca, resta il tempo per un’ultima suonata di pochi minuti. Minuti che poi diventeranno ore.
Perché in Calabria è così: il tempo si dilata, i ritmi diventano lenti e l’unica cosa che riesce a correre veloce è il cuore. Le porte delle nostre Casette Rurali si spalancano ancora una volta per accogliere i nostri viaggiatori. Si spalanca anche il cuore perché “’San erkeste, to spiti en mega, i kardia en plen megali”.
“quando venite la casa è grande e il cuore ancora più grande”
Ci salutiamo con lunghi abbracci, con l’augurio di aver diffuso parte dell’ispirazione che ogni giorno muove le azioni di tutti quelli che lavorano ad una Calabria più virtuosa. Una Calabria Etnica.